Uno dei miti che ebbe più seguito – un vero best-seller – fu quello di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro. Detto in poche parole, ha un impianto abbastanza semplice: si trattava di andare nella Colchide a recuperare la pelle intera di un ariete appesa ad un ramo di quercia. Ma, come si sa, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, in questo caso il Ponto Eusino ovvero il Mar Nero…
Giasone era figlio del re di Iolcos (oggi Volos 8 nel golfo di Pegase in Tessaglia). Poiché il trono paterno era stato usurpato dallo zio Pelia, il giovane ne chiese la restituzione. Questa gli fu accordata a condizione che si impossessasse del vello di un ariete sacro che si trovava nella Colchide (l’attuale Georgia nel Caucaso) sull’estrema costa orientale del Mar Nero. 9 Non solo si trattava di affrontare un viaggio di circa 700-800 miglia marine (più di 1.300 chilometri) su una barca a remi, ma anche di superare con forza, coraggio ed astuzia una serie di durissime prove lungo tutto il tragitto poiché il Ponto Eusino era ancora axèinos, cioè inospitale per i pericoli, i misteri ed i sortilegi che racchiudeva. Giasone fa dunque costruire la nave Argo (lunga e stretta) e seleziona una cinquantina di compagni di viaggio (chiamati Argonauti) fra i più audaci eroi 10 del suo tempo del calibro di Eracle, Orfeo, Teseo, Castore, Polluce e Atalanta come unica donna. Arrivato finalmente nella Colchide dopo mille peripezie, Giasone supera anche le prove finali (Giasone dovrà: arare un campo con due tori che spirano fiamme dalle narici; inarlo con i denti strappati ad un drago dai quali germogliano in continuazione dei guerrieri che lo combattono; annientare un altro drago che custodisce il vello nel bosco di querce sacre.) con l’aiuto delle arti magiche di Medea, la figlia del re di quelle terre lontane.
Fin qui la sintesi, tuttavia molti autori classici greci e latini fecero a gara nell’ampliare la mission impossible degli Argonauti tramandandoci numerose versioni della leggenda assai discordanti fra loro. (Secondo Omero (canto XII dell’Odissea) il viaggio sarebbe realmente avvenuto intorno al XIII secolo a.C. ovvero durante la cosiddetta civiltà Micenea. Oltre agli autori altrove citati nel testo, si occuparono del mito anche Erodoto, Pindaro ed Euripide. Apollonio Rodio scrisse un poema in quattro libri chiamato Argonautiche; un testo in otto libri dallo stesso titolo fu scritto da Valerio Flacco.) Svariatissime sono anche le interpretazioni sulla natura stessa del vello. Secondo alcuni rappresenta la legittimità del potere reale, poiché Giasone avrebbe intrapreso il viaggio con il fine di riprendersi il trono di Iolcos carpitogli dallo zio Pelia. Un’altra suggestiva interpretazione espone che si trattava di una pergamena (La pergamena, anche detta cartapecora, era un materiale sul quale si poteva scrivere ed era ottenuta dal lato interno del vello delle pecore opportunamente lavorato.) sulla quale erano indicati i fiumi della Colchide dove l’oro abbondava e le relative tecniche per ricuperarlo; oppure un trattato di alchimia per ottenere metalli preziosi. Alcuni paragonano il viaggio del ventenne Giasone ai riti di passaggio dall’adolescenza alla maturità; altri ancora – dopo aver considerato che la Grecia era in effetti poverissima d’oro – ipotizzano che un gruppo di giovani greci avventurosi avrebbe intrapreso una spedizione per riportare in patria una certa quantità di quel metallo e che ciò servì ad indicare la rotta ai futuri colonizzatori.
Allora come oggi in Georgia l’oro si trovava nello Svaneti – la desolata regione le cui montagne ne fanno l’area abitata più alta d’Europa – dove viene raccolto stendendo delle pelli di pecora lungo le acque più basse del fiume Inguri, Questo antichissimo sistema era sicuramente noto anche al generale romano Pompeo Magno che, nel corso della III guerra contro Mitridate re del Ponto, nel 66 a.C. intraprese l’esplorazione della Colchide per cercarvi l’oro. “Si racconta che in molti dei ruscelli presenti lungo questa catena montuosa, [il Caucaso] ce ne fossero alcuni ricchi di polvere d’oro, che gli abitanti raccoglievano attraverso le pelli di pecora, messe a bagno in modo da setacciare le particelle anche più sottili della polvere aurea. Forse il vello d’oro del mitologico re Eete [re della Colchide, padre di Medea] era di questo genere.”, scrive Appiano nelle Guerre Mitridatiche. Anche Strabone riprende questo stesso argomento nel Libro XI della Geografia.
l mito di Giasone e dei suoi uomini imbarcati sulla Argo nel viaggio a caccia del Vello d' Oro, ha trovato una legittimazione dagli scavi eseguiti dal secolo scorso nella Colchide. Terra fertile e di miniere auree è la moderna Georgia, come testimoniano i corredi funerari delle tombe a tumulo ritrovati tra la riva del Mar Nero e il Caucaso. Collane d' oro del III millennio con motivi solari a spirale ("Ananauri"), bracciali del V secolo a. C. con teste di ariete e cinghiale, pendenti a forma di melograno e pannocchie........
splendido. grazie
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